Nuovo Paradigma

Paradigma e metodo

Premessa

Come accennato nella home page il nuovo paradigma cui si ispira l’Istituto è quello “olistico sistemico” anzi più precisamente “olistico-sistemico integrativo” in quanto comprende anche alcuni aspetti e contributi del paradigma dominante integrandoli nel proprio quadro teorico e metodologico. Questo nuovo paradigma è stato ampiamente e approfonditamente trattato in numerose pubblicazioni dei fondatori, la più recente delle quali è il libro Olismo la nuova scienza da cui sono tratte molte delle considerazioni che seguono.

Definizioni concettuali

Il concetto di paradigma (dal greco antico paradeigma = modello) viene talvolta adoprato in modo improprio, ad esempio come sinonimo di teoria scientifica, mentre invece queste due entità si situano a livelli diversi, più elevato il paradigma, più basso la teoria, qualunque essa sia. Con paradigma si intende infatti un insieme di teorie accumunate da assunti simili e da uno stesso metodo (o sue varianti).

Più precisamente possiamo definire un paradigma scientifico come la cornice unificante che

a partire da:

  1. alcuni assunti fondamentali (o assiomi)

indirizza e collega tra loro:

  1. un determinato metodo di indagine in accordo con gli assunti fondamentali;
  2. i dati empirici ricavati da indagini che applicano tale metodo ai più svariati ambiti di studio (fisica, chimica, astronomia, biologia, etc.);
  3. le teorie che spiegano tali dati in accordo con gli assunti fondamentali.

Le teorie scientifiche sono quindi i prodotti finali di un paradigma e per essere “validate” devono seguire criteri rigorosi e verifiche altrettanto rigorose. Invece gli assunti o fondamenti di un paradigma, che ne costituiscono il punto iniziale, sono “al di sopra di ogni criterio e verifica” in quanto sono degli assiomi o “verità” indimostrate e indimostrabili, un po’ come gli assiomi di partenza della geometrie euclidea o i dogmi delle varie religioni.

Gli assunti fondamentali del paradigma scientifico attualmente dominante sono quelli del materialismo, del meccanicismo e del riduzionismo, postulati da Galileo e Cartesio nel ‘600 e poi accettati acriticamente dalla maggior parte degli scienziati posteriori. Il metodo è quello empirico-sperimentale delineato da Galileo e perfezionato poi da Bacone, Newton e altri.

Coloro che sostengono acriticamente tale paradigma si fanno forti della solidità del metodo e del rigore che contraddistingue il processo di validazione delle teorie ma dimenticano (o ignorano volutamente) l’anello debole, vale a dire i suoi assunti fondamentali, la cui natura è del tutto arbitraria: nessuno ha mai dimostrato che mente e corpo, materia e spirito, siano entità distinte e del tutto separate, lo ha solo postulato Cartesio con la dicotomia res cogitansres extensa, stabilendo altrettanto arbitrariamente e assiomaticamente che la scienza doveva occuparsi solo della res extensa, cioè della materia/corpo. Da qui il materialismo. Altrettanto arbitrari e assiomatici sono gli altri due assunti – meccanicismo e riduzionismo – che illustreremo tra breve.

Il motivo principale per cui solo pochi hanno avuto il coraggio di mettere in discussione tali assunti è che, se si rivelassero sbagliati, verrebbero automaticamente invalidati anche il metodo, gli strumenti e le teorie prodotti all’interno di tale paradigma – cioè crollerebbe l’intera impalcatura (o paradigma) su cui poggia la scienza moderna occidentale. E come sappiamo, dire che il re è nudo non paga affatto in termini di carriera, anzi…..

L’esigenza di passare dal vecchio al nuovo paradigma

Nonostante la strenua difesa da parte dell’establishment e degli studiosi più ortodossi (con la passiva complicità di quelli più pavidi), si arriva nella storia di ogni paradigma a un momento in cui le anomalie e i limiti sono troppi e troppo gravi per essere ignorati ed emerge allora pressante l’esigenza di un nuovo paradigma.

Finora solo un ristretto numero di scienziati e professionisti (tra cui i fondatori di questo Istituto) era giunto a tale consapevolezza, ma nei prossimi anni essa si diffonderà nella intera comunità scientifica e nella maggior parte della popolazione a causa del colossale fallimento dell’approccio biomedico ufficiale nella gestione della pandemia COVID e dei gravi effetti avversi dei vaccini e delle misure di prevenzione utilizzati. Inoltre l’autoritarismo con cui tali misure sono state imposte alla popolazione ha portato alla luce le profonde collusioni tra establishment medico-scientifico, partiti politici e grandi industrie farmaceutiche, smitizzando quella scienza biomedica e farmacologica che per decenni è stata ingannevolmente presentata dai media come infallibile e protesa al bene. Sarà quindi sempre più evidente che quella parte della popolazione mondiale che ha seguito più fedelmente il paradigma dominante non sta affatto bene ma anzi sempre peggio sia sul piano della salute fisica sia su quello della salute psicosociale.
I limiti principali del paradigma scientifico dominante risiedono, come già accennato, nei suoi stessi assunti fondativi – materialismo, meccanicismo e riduzionismo. Finché essi erano usati  per studiare il moto dei corpi celesti e degli oggetti inanimati come faceva Galilei e altri scienziati suoi contemporanei il problema era trascurabile, ma quando, nei secoli successivi, essi furono applicati anche allo studio degli esseri viventi, iniziarono a rivelarsi inadeguati e fuorvianti; ciò specie per quanto riguarda lo studio degli esseri umani in quanto tali assunti negano l’esistenza e la rilevanza di dimensioni quali la psiche, la socialità, l’etica, la coscienza e la spiritualità, che sono proprio quelle che più caratterizzano l’essere umano e lo distinguono dalle macchine e dagli animali, aprendo così la strada all’ateismo, al nihilismo, al cinismo e in ultima analisi al transumanesimo.

Come vedremo, già nella seconda metà del ‘700 iniziarono ad emergere nelle scienze della vita posizioni teoriche alternative che poi giunsero a maturazione nel ‘900 delineando un vero e proprio paradigma alternativo a quello galileiano newtoniano, un paradigma che possiamo definire olistico sistemico.

Nei prossimi due paragrafi esamineremo più in dettaglio il vecchio e il nuovo paradigma, soffermandoci per ovvi motivi maggiormente sul secondo.

Il vecchio paradigma: cenni storici, assunti di fondo e limiti epistemologici
  1. Gli assunti di fondo e il metodo di tale paradigma furono delineati da Galilei all’inizio del ‘600 allo scopo di studiare fenomeni naturali quali il moto dei corpi celesti o quello degli oggetti inanimati, quali una pietra che cade da una torre, la traiettoria di una palla di cannone o il moto di un carro su un piano inclinato. In seguito Descartes, Bacone e Newton apportarnono importanti precisazioni, aggiunte e perfezionamenti.
  2. In virtù dei successi conseguiti nei campi della fisica e della astronomia, tale paradigma fu adottato nel secolo successivo anche dalla chimica, e in seguito anche dalle scienze naturali, dalla medicina e in ultimo perfino dalle scienze sociali. Tuttavia alcuni studiosi più attenti iniziarono a rendersi conto che esso era inadeguato a comprendere la natura e il funzionamento degli esseri viventi e soprattutto degli esseri umani. Ciò a causa dei tre assunti fondamentali su cui esso poggiava:
    • il materialismo cioè l’assunto secondo cui solo la dimensione materiale esiste in termini oggettivi e può essere indagata dalla scienza mentre le dimensioni immateriali – energia, emozioni, pensieri, coscienza, spiritualità – sono soggettive e come tali non indagabili dalla scienza, cioè ascientifiche;
    • il meccanicismo cioè il ritenere gli esseri viventi (umani inclusi) assimilabili a congegni meccanici il cui funzionamento può essere compreso scomponendoli nelle loro parti componenti e studiando ciascuna di esse separatamente;
    • il riduzionismo, secondo il quale ogni processo complesso può essere ridotto a processi più semplici e quindi anche l’essere umano (incluse la sua mente e coscienza) può essere ridotto ad un insieme di processi biologici, a loro volta riducibili a processi chimici che infine possono essere spiegati sulla base dei processi fisici e microfisici ad essi sottostanti.
  3. Proprio a causa di quanto sopra, alcuni scienziati, filosofi e medici avevano espresso già nella seconda metà del ‘700 un deciso dissenso rispetto alla loro adozione nello studio degli esseri viventi, senza però ottenere grandi risultati. Nemmeno il secolo successivo si rivelò un terreno fertile per tale dissenso, sia a causa dell’imperante ideologia positivista e scientista, sia a causa del sostegno tributato al paradigma materialistico meccanicistico dalle principali società scientifiche e dalle sempre più potenti industrie meccaniche, chimiche e farmaceutiche.
  4. Fino ai primi anni del ‘900 la medicina era rimasta almeno in parte esente da tale visione materialistica e meccanicistica, e alcune sue branche, come ad esempio l’omeopatia, l’osteopatia, la naturopatia, la chiropratica, l’elettroterapia propendevano anzi per una visione proto-olistica dell’essere umano e della salute: si pensi che circa la metà delle scuole di medicina statunitensi erano incentrate su tali branche e relativa visione olistica.
  5. Tali scuole furono però costrette a chiudere i battenti o a indirizzare i curricula dei corsi di studio in direzione più materialistica e meccanicistica a causa delle forti pressioni esercitate dalle istituzioni sanitarie e educative federali a seguito dei risultati di due indagini condotte dalla fondazione Carnegie sotto la direzione di A. Flexner, una pubblicata nel 1910 sulle scuole di medicina  in America e una pubblicata 2 anni dopo riguardante le scuole di medicina europee. La comparazione tra queste due indagini mise in risalto (spesso esagerandole) le carenze organizzative e scientifiche delle scuole americane, e soprattutto stigmatizzò ogni approccio che non fosse rigorosamente basato sul paradigma scientifico dominante. Ciò che è fondamentale sapere è che tali indagini erano tutt’altro che affidabili in quanto Flexner non aveva la necessaria competenza per svolgerle, non essendo né un medico né uno scienziato sociale ma avendo solo una laurea di primo livello in studi classici. Inoltre, l’utilizzo dei risultati di tali ricerche allo scopo di influenzare le politiche educative americane fu tutt’altro che imparziale ed anzi decisamente in conflitto di interessi, in quanto finanziato da J. D. Rockfeller, che oltre ad essere all’epoca il principale magnate del petrolio, aveva investito ingenti somme di denaro in industrie chimico-farmaceutiche ed aveva quindi tutto l’interesse a danneggiare la concorrenza e ad affermare una medicina sempre più basata sui farmaci di sintesi (derivati dal petrolio e brevettabili, quindi producibili solo da chi possiede il brevetto) e sempre meno sui farmaci naturali e sulle vitamine (non brevettabili e quindi producibili da chiunque ne abbia le capacità, anche il farmacista o l’erborista del paese). Ogni approccio medico caratterizzato da un approccio olistico e volto a stimolare e/o potenziare le innate capacità di autodifesa e autoguarigione dell’essere umano – omeopatia, osteopatia, naturopatia etc. – era considerato un pericoloso concorrente da eliminare e lo stesso valeva per medicine non olistiche quali l’elettroterapia e la chiropratica che comunque si ponevano in concorrenza con i farmaci di sintesi.

Ci sarebbero molte altre cose da dire sulla storia, le caratteristiche e i limiti del paradigma dominante ma potrete leggerle nel libro sopra menzionato, preferendo in questa sede dedicare più spazio a descrivere storia e caratteristiche del Nuovo Paradigma.

Il nuovo paradigma: cenni storici e assunti di fondo
  1. Come si è accennato più sopra, i primi dubbi sulla appropriatezza del paradigma dominante allo studio degli esseri viventi emersero nella seconda metà del ‘700 ad opera di scienziati che proponevano teorie alternative quali il vitalismo e l’organicismo. Tali critiche ebbero  all’epoca poco seguito ma lo spirito di tali dubbi e posizioni riemerse nei primi decenni del ‘900, supportato da contributi teorici assai più convincenti, tra cui il neo-organicismo di J. H. Woodger, l’emergentismo di C. L. Morgan, l’olismo di Smuts (il primo a coniare tale termine), la psicologia della gestalt di von Ehrenfelds, Wertheimer, Kohler e Koffka, la sociologia funzionalista di Durkeim e via dicendo. Tali contributi, pur essendo in sintonia tra loro, erano sparpagliati in vari campi disciplinari, scollegati e privi di una cornice di riferimento in grado di organizzarli.
  2. Tale cornice sembrò delinearsi, dopo la seconda guerra mondiale, grazie alla teoria generale dei sistemi del biologo Ludwig von Bertalanffy e all’incontro di essa con la cibernetica, la teoria dell’informazione e le scienze sociali.[1] Ne derivò un metamodello transdisciplinare che si poteva applicare indifferentemente alle scienze “esatte”, alle scienze della vita e alle scienze sociali. Per tutti gli anni ’50 e ’60 tale metamodello – definito sistemico cibernetico – esercitò una certa influenza su vari ambiti disciplinari, tra cui la psicoterapia (approccio sistemico relazionale), la sociologia (teoria sistemica di Talcott Parsons) e anche l’ingegneria e l’informatica che ne colsero prevalentemente gli aspetti strumentali.[2] Esso non riuscì però a sviluppare appieno le sue potenzialità metodologiche, in quanto molti dei postulati su cui si basava non potevano contare all’epoca su una adeguata evidenza empirica. Così all’inizio degli anni ’70, il modello sembrò avviarsi al tramonto, anche a causa della morte di von Bertalanffy.
  3. Tuttavia, di lì a poco, si ebbero importantissimi progressi scientifici che fornirono l’evidenza empirica e i contributi teorici che necessitavano al modello: la teoria del cervello trino di P. MacLean, la scoperta dei recettori degli oppiacei di C. Pert e altre scoperte conseguenti che portarono alla nascita e al rapidissimo sviluppo della psico-neuro-endocrino-immunologia, la teoria dei frattali di B. Mandelbrot, la teoria del caos di E. Lorenz et al., la teoria del campo morfogenetico di R. Sheldrake, la teoria dell’autopoiesi di H. Maturana e F. Varela, lo sviluppo dell’epigenetica, gli esperimenti sulla non località della fisica quantistica etc.
  4. Tali contributi non dettero però al nuovo paradigma tutto l’impulso che ci si poteva attendere, sia perché dispersi in vari campi e non integrati all’interno di una cornice unificante sia per le resistenze della parte più ortodossa della comunità scientifica sia infine (e soprattutto) per l’ostilità dell’establishment scientifico-tecnologico-industriale e dei gruppi editoriali e mediatici da esso controllati.
  5. Ciò nonostante un numero sempre più consistente di medici e professionisti sanitari si dedicarono ad approcci alternativi quali l’omeopatia, l’agopuntura, la medicina ayurvedica, la medicina cinese, l’osteopatia, la PNEI etc. seguiti da una parte sempre più significativa della popolazione occidentale che – delusa dalle terapie ufficiali – si rivolgeva a tali approcci alternativi trovandovi molto spesso le soluzioni che cercava e una relazione più umana e paritetica.
  6. Un importante assunto del nuovo paradigma è infatti quello secondo cui i sistemi viventi (e in massima misura gli esseri umani) dispongono di capacità innate di omeostasi/allostasi, autodifesa, autoguarigione e autoriparazione e pertanto, se malati, possono essere aiutati a guarire ripristinando e potenziando tali capacità piuttosto che con interventi chimici molto invasivi e spesso carichi di effetti indesiderati anche gravi.
  7. Ulteriori assunti di fondo del nuovo paradigma sono: l’organizzazione sistemica degli esseri viventi e l’interdipendenza tra tutte le loro componenti (apparati, organi, tessuti, cellule etc.) cioè l’esatto contrario di quanto postulato dall’assunto del meccanicismo; la multidimensionalità dei sistemi viventi, che raggiunge il suo massimo negli umani, e che prevede anche dimensioni immateriali, sia energetiche sia informazionali (in antitesi all’assunto materialistico); l’emergentismo, cioè l’assunto secondo cui ogni sistema vivente di livello evolutivo superiore presenta proprietà emergenti cioè del tutto nuove e non presenti nel livello evolutivo precedente, come nel caso degli organismi multicellulari che hanno capacità non spiegabili dalla semplice somma delle cellule che li hanno formati (e questo assunto va in antitesi con quello del riduzionismo e lo invalida totalmente).
  8. A differenza degli assunti del paradigma dominante, che sono totalmente arbitrari e mai dimostrati, quelli del paradigma olistico sistemico hanno ricevuto specie negli ultimi decenni numerosissime conferme grazie a ricerche e sperimentazioni effettuate in vari campi disciplinari.[3] Se finora tali conferme venivano ignorate o sminuite a causa della sistematica opera di omissione e disinformazione perpetrata dall’establishment scientifico-tecnologico-industriale e dei gruppi editoriali e mediatici da esso controllati, da ora in poi, grazie al disvelamento post COVID, le informazioni potranno circolare un po’ più liberamente e sempre più persone (addetti ai lavori ma anche comuni cittadini) le coglieranno con minori pregiudizi e maggior apertura mentale. Fondamentale a tal fine risulterà l’azione di centri e istituti come il nostro e di studiosi e professionisti qualificati in grado di diffondere il Nuovo Paradigma e le connesse metodologie preventive, diagnostiche, terapeutiche e evolutive.
  9. Altrettanto fondamentale sarà distinguere tra olismo scientifico e pseudo-olismo. Difatti, trattandosi di un campo di studio e di attività piuttosto nuovo e non ancora regolamentato, chiunque finora ha potuto dichiararsi olistico senza dover esibire particolari competenze e credenziali e vi sono quindi numerosi operatori e professionisti che qualificano come “olistici” se stessi e le loro attività professionali al mero scopo di acquisire clienti, senza in realtà conoscere né i principi, né le teorie e metodologie che costituiscono l’approccio olistico sistemico. Tali operatori pseudo-olistici forniscono un pessimo servizio ai loro clienti e inoltre danneggiano gli operatori autentici fornendo ai detrattori dell’olismo appigli per criticarlo. Tuttavia il problema dello pseudo-olismo non riguarda solo i ciarlatani ma, seppure in altre forme, anche professionisti accreditati (medici, psicologi, fisioterapisti etc.) alcuni dei quali si avventurano in questo nuovo campo in modo un po’ ingenuo e superficiale, credendo che basti leggere qualche libro o frequentare qualche corso di breve durata per trasformarsi in terapeuti olistici. Siamo contenti che sempre più professionisti desiderino ampliare la propria formazione in direzione olistica ma ci teniamo ad avvisarli che l’approccio olistico sistemico non si può imparare in modo autodidatta o attraverso corsi di poche giornate in quanto il suo principale punto di forza è la comprensione di relazioni sistemiche complesse, comprensione che richiede uno studio approfondito e rigoroso e un vero e proprio cambiamento di mentalità: il passaggio dalla prospettiva meccanicistica riduzionistica a quella olistico sistemica infatti non è come indossare un abito nuovo o aggiungere un ennesimo tassello alla propria formazione ma rappresenta un cambiamento radicale di prospettiva, che richiede una profonda messa in discussione delle proprie convinzioni preesistenti e lo sviluppo di un modo del tutto nuovo di pensare, di sentire e di agire. Per maggiori chiarimento in proposito invitiamo a leggere i capp. 8 e 9 del nostro libro Olismo la nuova scienza.
[1] Cfr. Bertalanffy L. Von, 1950; 1956; Wiener N., 1948; Ashby W. R., 1956; Shannon C., Weaver W., 1949.
[2] Per una ricostruzione storica dell’evoluzione del modello sistemico-cibernetico si vedano Capra F., 1997; Laszlo E., 1972 e 1995; Morin E., 1983. Per maggiori dettagli su tale modello si vedano, tra gli altri, Bertalanffy L. Von, 1971; Hall A.D., Fagen R.E. 1956; Wiener N., 1954 e 1982; Ashby W. R., 1956.
[3] Per una panoramica al riguardo vedi Cheli E., Antoniazzi A., 2020 capp. 5 e 6; Pert C. 2014; Daruna J.H., 2012; Cheli E., Antoniazzi A., 2022 in corso di pubblicazione.